C’è chi scende e chi sale – due donne in cima al Cevedale

admin venerdì, 27 giugno 2008 0


L’obiettivo dei nostri tre giorni in montagna è quello di fare un po’ di allenamento come si dice “ci facciamo le gambe”. Quest’anno a causa del maltempo ed avendo praticato soprattutto canyoning ed arrampicata ho fatto poco escursionismo tra l’altro una delle mie più grandi passioni seconda solo ai viaggi.
Io e Claudia ci documentiamo qualche giorno prima quale delle innumerevoli valli alpine scegliere per trascorrere 3 gg. lontane dalla città e decidiamo di partire per la Valtellina. Gli itinerari per entrambe sono nuovi mai fatto dell’escursionismo da quelle parti, nei nostri pensieri la cima del Cevedale 3.769 m. ghiacciaio considerato “facile” di solito le nostre ascensioni erano sempre capeggiate da amici molto esperti se non addirittura alpinisti nel vero senso delle parola. L’appuntamento è alle 8,00 di domenica agli ananas di Cinisello e si parte per Santa Caterina in Valfurva e la nostra escursione inizia proprio dal ghiacciaio dei Forni. Gran bel caldo anche a 2.176 s.l.m., l’orario è ottimo le 12,30 sotto il sole cocente per iniziare con zaino in spalla la nostra impegnativa camminata al rifugio Casati 3.269m. e poi … vedremo se affrontare la cima o tornare con le orecchie basse.
Di domenica gli escursionisti scendono difficilmente salgono e tra me e me pensavo ma ci sarà qualcuno che domani farà la cima? Va be’ cominciamo a farci questi 1.100 di dislivello e poi si vedrà. Al bivio dopo il rifugio Pizzini due giovani stranieri sono diretti al Casati la via da loro scelta a mio parere non è corretta ma sempre tra me e me pensavo: loro saranno sicuramente più esperti. Subito dietro di noi un simpaticissimo gruppo tra cui ma lo scopriremo dopo l’unica donna dei 4 alpinisti è una tosta maratoneta di 58 anni della provincia di Brescia, Enrica. Gli altri 3 signori che poi ci adotteranno per la salita in vetta sono Luigi, Enzo e Giovanni denominato il “nonno”. Ci consultiamo al bivio sotto la freccia che indica rifugio Casati e naturalmente andiamo dalla parte opposta seguendo i due giovani alpinisti. Scopriamo una volta in cima al rifugio che il sentiero che tutti abbiamo deciso di fare era la direttissima e che quello meno impegnativo con una bella traccia raggirava il monte. Una serie di passaggi a soli 10m. dal rifugio mi han fatto vedere i sorci verdi, era un misto di neve e roccia che franava solo a guardarla, scariche di sassi, neve e fanghi scendevano lungo i pendi, ammazza per fortuna che è considerato facile!!! Non c’erano altre persone al rifugio, 8 in totale comprese noi due che il giorno seguente avrebbero affrontato la salita. I bagordi delle sere precedenti, l’aver affrontato il viaggio e la scarpinata fanno si che la Nico alle 19,30 è già in branda. Non faremo la solita levataccia il giorno successivo, i gestori del rifugio dicono che in un paio d’ore si raggiunge la cima del Monte Cevedale.
Enzo, Luigi, Giovanni e Enrica ci adottano per la salita decidiamo di affrontarla insieme tanto che alle 7,30 di lunedì partono le 2 cordate. Sarà una giornata splendida il cielo è terso, alle nostre spalle il Gran Zebrù di fronte le due cime del Cevedale sono lì che ci attendono. Bene, in un paio d’ore raggiungiamo la 1^ cima quella del Monte Cevedale e subito dopo attraversando una spettacolare cresta la vera cima con la croce, baci, abbracci e strette di mano come solitamente si usa fare quando si raggiunge la cima pochi minuti per ore di camminata e poi via di nuovo giù.
Il ritorno più impegnativo della salita, si affonda sino al ginocchio (pensate a me un 1 metro e mezzo di altezza) fa così caldo che il nevaio è subito in pessime condizioni.
Una volta raggiunto il parcheggio salutiamo i nostri compagni ma soprattutto sostenitori della nostra impresa ed io e Claudia decidiamo di andare nella valle dello Zebrù dormire nella valle in tenda come suggerito dal rifugista e martedì fare una camminata di defaticamento. Nella valle non c’erano prati verdi come indicato dal rifugista del Casati per montare la tenda e fare del campeggio selvaggio. Sì c’erano ma erano tutti in pendenza tanto è vero che dopo una serie di indecisioni optiamo di dormire vicine al parcheggio nel recinto dell’ufficio del turismo.
Ceniamo sui classici tavoli da pic-nic, metto i miei ramponi, scarponi da ghiaccio e imbragatura accanto all’auto ad asciugare con l’ultimo sole della giornata ancora molto caldo e prima di montare la tenda scendiamo in paese a bere il caffè.
Un dubbio c’era al nostro rientro dal paesello ma confermato solo la mattina seguente quando Claudia nota un messaggio appeso all’ingresso dell’APT: in sintesi nel parcheggio è stata ritrovata attrezzatura da montagna ed un numero di telefono da contattare.
Controllo in auto, non poteva essere che la mia attrezzatura dimenticata la sera prima, grande BURBATA. Ho solo i sandali per camminare e non andrò molto lontano decidiamo così di fare una passeggiata tranquilla. Sicuramente tranquilla! 1.250 m. di dislivello di cui gli ultimi 150m. nel nevaio per raggiungere il rifugio V Alpini accanto al ghiacciaio dello Zebrù, oltre alla difficoltà delle calzature la difficoltà il trovare il sentiero corretto non ancora battuto da nessuno e dopo tre tentativi raggiungiamo il belvedere a 2.877 con i sandali, spuntino e giù per recuperare l’attrezzatura che il buonuomo mi ha gentilmente conservato.
Tutto è bene quel che finisce bene, ma la rognaccia non poteva mancare ritorno tranquillo e senza traffico quando sotto la casa di GG mi scontro con una moto e ahimè il motociclista si rompe gomito e dito del piede. Miiii che sfiga!!!

Un ringraziamento particolare a Enzo, Luigi, Giovanni e Enrica i nostri sostenitori e Claudia la mia compagna di cordata.

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