Adesso ve lo spiego io come sono andate le cose! Probabilmente una birra di troppo sabato sera, metti anche la bella giornata ed il desiderio di ritornare a fare qualche pagaiata, su un fiume nuovo e non troppo difficile poi… beh lo so, me ne sarei dovuto accorgere lo stesso, non erano i soliti amici e compagni di discese quelli incontrati all’autogril in viaggio verso il canavese, destinazione Soana. Doveva pur esserci un’ombra metallica in quegli sguardi. Rick Deckard avrebbe capito subito, li avrebbe freddamente terminati ed avrebbe cercato gli umani legati in qualche cantina. Io invece non l’ho capito nemmeno quando, guardata dall’alto della strada la cascata gonfia, imperterriti han proseguito verso l’imbarco superiore.
Ecco una cosa bisogna dire: non sono cattivi. Mi han dato le indicazioni dell’imbarco intermedio “da lì in giù è quarto”, senza cercare di attrarmi verso la trappola del tratto alto. Io ignaro, direi anzi ingenuo, no di più boccalone! Ecco sì, boccalone! Insomma, li ho guardati scendere le prime rapide, gli ho fatto le foto, giù per la rapida d’ingresso, poi su un passaggio intermedio, poi giù nella gola sulla cascata. Un paio di foto, niente di particolare potreste pensare, ed io infatti così pensavo.
Insomma una volta che il fiume precipita nel bosco giù per la valle vado ai miei 300 scalini sapendo di dover aspettare un’oretta. Li vedo comparire dopo due ore e mi aspetto che si scusino ma che il tratto duro… il livello… insomma usciamo qui andiamo a mettere le gambe sotto al tavolo, mi sarebbe dispiaciuto ma avrei capito. Invece no! Andiamo!
Li conto, ne manca uno? Chiedo spiegazioni: “ha rotto la pagaia ed il naso ed è uscito” non un filo di emozione. Ecco, il segno! Quello che permetteva a Deckard di individuarli: la totale mancanza di empatia, ed io – duro – niente: “Oh, poverino. OK, andiamo!”
Beh ho ripreso fiato solo allo sbarco, pochi i passaggi guardati, diversi passaggi obbligatori, tre o quattro di questi fatti alla cieca “lì a destra dova fa lo sbuffo”, “EH? Boh, aaaaah!” salto, sottomarino, frullata, eskimo…
Malgrado tutto il tratto duro passa, finalmente inizia qualche passaggio di quarto, poi più avanti anche di terzo quando si cominciano a vedere le case. Non so come non mi sono incartato e accartocciato da nessuna parte ma ormai ho dato tutto. Il fiume comincia a prendersi gioco di me e mi sbatacchia fino allo sbarco cercando di scuotermi fuori dalla canoa, ma non cedo. Osservo nuovamente i miei compagni di discesa: rilassati e freschi come dopo un pisolino sul divano. Mi è venuto un sospetto. Stavo incominciando a capire, ma l’ipotesi era ancora troppo incredibile anche davanti all’evidenza ormai manifesta.
Arrivato a casa scarico le foto e i dubbi diventano certezza. Non vi racconto balle, ho le prove, potete vederle anche voi coi vostri occhi: sono le foto qui sotto! Non ci sono trucchi: è così che vengono in foto gli androidi! Ecco, adesso lo sapete, non fidatevi! Marco, Daniele, Gabrio, Scvàrz e Albertino sono androidi! Bisogna terminarli e liberare quelli veri, umani in carne ed ossa che essi hanno imprigionato per rubarne le sembianze e divertirsi in kayak. Il povero Skafo, ammaccato, è certamente una loro vittima. Un alieno rapito su qualche acquoso pianeta. Chissà se potrà mai rivedere le sua luna!
stefanieddu